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    Il melograno: un vero farmaco naturale

    Diuretico, antiossidante e anti-tumorale è ricco di proprietà benefiche.Chiamato anche pomo saraceno, è un prodotto autunnale tipico dell'Afghanistan e della Persia, ma è molto diffuso in tutto il mediterraneo. Di questo frutto viene usato proprio tutto: non si mangiano solo i semi, ma anche la radice, che sembra abbia proprietà vermifughe. Con questa pianta si possono fare anche delle lavande vaginali lasciando in infusione 30 g di fiori essiccati in 1 litro di acqua bollente per 1 minuto. I semini sono difficili da digerire, specialmente per chi soffre di problemi al colon. Tuttavia, vengono utilizzati per la preparazione di granatina, uno sciroppo molto dolce. Dal punto di vista nutrizionale, recenti studi hanno confermato le ipotesi "medicamentose" di questo frutto avanzate da Ippocrate. Nell'antica Grecia il melograno veniva usato come antinfiammatorio e nei casi di diarrea cronica, grazie alle sue proprietà astringenti. Ricco di potassio, minerale con effetto diuretico, ha un effetto drenante, e quindi detossinante, per il nostro organismo. Negli ultimi anni, l'attenzione è stata puntata sull'acido ellagico (presente anche nei frutti di bosco): secondo l’Istituto del Cancro della Università della Sud Carolina, sembra che questa sostanza induca la morte delle cellule cancerose, soprattutto di quelle al seno. Un ottimo aiuto contro lo stress ossidativo, dunque, dalle proprietà anti-invecchiamento e anti tumorali. Merito anche dell'alta percentuale di polifenoli in esso contenuti, preziosi per contrastare l'aterosclerosi e le malattie cardiovascolari. Una nuova ricerca giapponese sembra aggiungere altre benefiche proprietà a questo frutto. Lo studio, pubblicato sul Journal of Ethnopharmacology, ha affermato che che il succo di melograno (che si è si è rivelato efficace sugli animali di laboratorio) potrebbe aiutare le donne a combattere alcuni disturbi della menopausa, come la depressione e la fragilita' ossea.

    Dieta. Le diverse scelte alimentari tra uomo e donna

    La diversità tra uomo e donna si riflette anche nel modo di mangiare e soprattutto nelle scelte dell’alimentazione. Scopriamone di più.Uomini e donne più volte sono stati definiti come due mondi diversi per il modo di affrontare e interpretare la vita. Secondo numerosi psichiatri, queste diversità sono dettate dalla diversità dell’assetto ormonale e dall’ambiente culturale in cui si vive. In genere le donne preferiscono prevalentemente cibi morbidi e cremosi e dal gusto delicato, come le carni bianche, il pesce, le insalate, lo yogurt e la frutta. Diversamente, gli uomini prediligono cibi consistenti e croccanti, dai sapori forti e speziati, come la pasta, il riso, la carne rossa, gli insaccati, la pizza, cibi surgelati e le uova. Anche se questo elenco possa sembrare essere uno dei tanti luoghi comuni che si va ad aggiungere a quelli già esistenti, in realtà, la diversità tra uomini e donne nelle preferenze alimentari è stato confermato anche da una ricerca pubblicata sul Journal of Consumer Research. Lo studio è il risultato di una collaborazione tra i ricercatori dell’Università della Pennsylvania, della Louisiana State University, dell’University of North Carolina – Chapel Hill e della Cornell University. Dall’analisi dei dati raccolti si è scoperto come alcuni alimenti siano associati alla virilità ed alla mascolinità, modo di pensare che ricade inevitabilmente sulle scelte alimentari. Alimenti di origine animale, in particolare, proteici, come la carne rossa e gli insaccati, sono considerati tra quelli rappresentanti la principale espressione di virilità. Questa interpretazione del cibo conduce a un consumo sproporzionato di questi alimenti rispetto ad altri decisamente più salutari. L’eccessivo consumo di carne rossa, ricca in grassi saturi e colesterolo, ricordiamo essere capace di incidere notevolmente sulla lunghezza della nostra vita e di aumentare la probabilità di insorgenza di malattie cardiovascolari e oncologiche, in particolare al colon e al pancreas. La probabilità di insorgenza dei pericoli è direttamente proporzionale alle quantità consumate giornalmente. Un consumo quotidiano anche di 50g di carni aumenta di circa il 19% il rischio di cancro al pancreas rispetto a coloro che non ne mangiano. Il rischio raggiunge il 38% circa se la carne giornaliera consumata è il doppio; mentre, la probabilità di insorgenza arriva fino al 57% se la quantità giornaliera assunta è di 150g. I pericoli aumentano se invece i pasti si basano su carni lavorate, questo a causa dell'alto contenuto in sodio, nitriti e nitrati. Il rischio si riduce se la carne rossa viene sostituita con altri cibi dotati di qualità nutrizionali nettamente superiori quali pesce, frutta secca, legumi e cereali. Questi cibi sono solitamente quelli scartati dagli uomini. Secondo infatti la mentalità maschile, alimenti come le verdure e la soia, visto che non sono ritenuti cibi fornitori di energia, sono invece identificati come sinonimo di debolezza e considerati più adatti per le donne, ritenuto da sempre il sesso debole. Per quanto banale e insignificante possa essere considerato questo studio, in realtà, mette in luce la stretta relazione esistente tra cibo e pregiudizi, ma anche tra cibo e qualità da ricavare dal consumo di uno specifico alimento. L’idea che un cibo sia in grado di affermare e avvalorare la virilità maschile, oltre a essere un luogo comune, rappresenta un modo superficiale di dimostrare a se stessi, ma anche agli altri commensali, qualità che non si hanno o che dubitiamo di avere. Di sicuro non sarà certo un consumo quotidiano di carne ad affermare il carattere di una persona, ma piuttosto una scelta ragionata di ciò che mettiamo nel piatto, insensibile ai pregiudizi, al marketing e alle scelte di massa, sarà sinonimo di forza mentale e intelligenza.

    I nemici del desiderio

    Rancore, frustrazioni, piccole e grandi delusioni giocano un ruolo distruttivo per l’eros della coppia Quali sono i nemici del desiderio? I più frequenti sono la stanchezza, lo stress, la mancanza di tempo, la scarsa sintonia con il partner… Ma si tende a sottovalutare il ruolo del rancore, questa forma emozionale altamente distruttiva per l’eros della coppia. "Spesso si pensa che, nelle coppie che vivono insieme da anni, sia la noia a spegnere lo slancio sessuale. È sbagliato: molto più frequentemente sono la rabbia, le frustrazioni, le piccole e grandi delusioni accumulate nella vita insieme ad allontanare i due amanti anche in camera da letto” spiega Adele Fabrizi, terapeuta dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma. Quelle piccole delusioni quotidiane A volte sono offese più grandi, come un tradimento, o una plateale mancanza di rispetto, o conflitti importanti su questioni economiche o familiari. Ma non bisogna neppure trascurare l’effetto delle piccole delusioni di ogni giorno. Per esempio un marito che non aiuta in casa, non è presente con i figli, è distratto, non ha mai un gesto gentile o romantico: spesso la donna è convinta di essersi ormai abituata ad atteggiamenti come questi, di non farci più caso. Si dice che non ha senso continuare a discutere, che è meglio lasciar perdere… A volte si autoconvince addirittura che questi non sono problemi importanti, che "è sciocco rimanerci così male", solo perché lui magari ha dimenticato un anniversario, o perché ha tempo solo per lo sport in TV, e mai per una cenetta romantica. E così accade di non accorgersi di quella sottile delusione e non la si ricollega al fatto che, in camera da letto, si è sempre meno entusiasti… La frustrazione colpisce anche l'eros maschile "Si pensa che un’indifferenza sessuale provocata da rancori accumulati sia un problema prettamente femminile" sottolinea la dottoressa Fabrizi. "Eppure oggi capita sovente di sentire in terapia anche uomini che raccontano di essersi in qualche modo ‘chiusi’ alla sessualità perché delusi da una donna che, giorno dopo giorno, li ha trascurati, li ha fatti sentire poco importanti." Anche l’eros maschile è dunque vulnerabile alla frustrazione protratta e alla rabbia.

    Far bene l’amore allunga la vita

    Sono gli effetti positivi dell’ossitocina, chiamata anche “ormone dell’amore”, che alza le difese immunitarie e favorisce l’empatia e la socializzazione.Far bene l’amore fa bene alla salute? Sembra proprio di sì, sembra che il sesso aiuti a vivere meglio perché influisce positivamente non solo sulla condizione psichica, ma anche su quella fisica, contribuendo addirittura a prevenire alcune malattie. Uno dei maggiori meriti va all’ossitocina, detta anche “ormone dell’amore”. L’ossitocina è conosciuta per i ruoli che ricopre nella regolazione delle contrazioni dell’utero durante il parto, della muscolatura intorno alle ghiandole mammarie per favorire l’allattamento e per la sua correlazione con la formazione e l’instaurarsi di un legame emotivo e sentimentale tra due persone. Presente nel nostro organismo, viene rilasciata nel sangue in una quantità 5 volte maggiore durante un orgasmo. Come riportato dalla rivista Time, sarebbe proprio in questa fase che, oltre ai ruoli ormonali descritti, ne ricopre altri: regola la temperatura corporea, rafforza le difese immunitarie, controlla il cuore e la pressione sanguigna, favorisce la coagulazione del sangue. Chi vive meglio vive più a lungo Una ricerca effettuata presso l'Università di Harvard ha tentato di calcolare esattamente di quanto si allunga la vita mettendo in pratica particolari abitudini e stili di vita. “L’invecchiamento non è semplicemente una questione di geni o di destino. Condurre uno stile di vita sano può assicurare una lunga vita” hanno dichiarato gli studiosi. E tra le sane abitudini, oltre a un’alimentazione corretta e a un costante esercizio sportivo, c’è anche un’attività sessuale regolare. Secondo i ricercatori di Harvard infatti chi ha un’attività sessuale regolare vive 2 anni e mezzo in più. E naturalmente se il sesso sfocia nel matrimonio ancora meglio, perché chi decide di sposarsi e ha un matrimonio felice di anni ne guadagna anche dieci.

    L’umorismo fa bene al cuore e alla mente

    Prendere ogni sconfitta con autoironia è il primo passo per tornare a vincere. Parola di Patch Adams medico americano, inventore della risoterapiaRidere fa solo bene. Avere senso dell’umorismo ancora di più. E dotarsi di autoironia, anche in discipline come lo sport, è il miglior rimedio contro la frustrazione. Aiuta a vedersi dal di fuori. E quindi a migliorarsi, persino fisicamente. «In un mondo in cui siamo confrontati in permanenza con la distruttività, con catastrofi personali e naturali e con il dolore, l’umorismo è uno strumento importante per portare una luce a coloro che sono colpiti da queste spiacevoli circostanze», racconta il professor Rodolfo de Bernart, ex Presidente della FIAP, la Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia. «L’umorismo», sostiene il professor de Bernart, «ci dà infatti una possibilità di sfuggire a pensieri depressivi anche se solo per un solo momento e di pensare ai problemi da un altro punto di vista». È come un esercizio di aerobica «Se osserviamo una persona in preda a uno scoppio di riso», aggiunge il neurologo, professor Lorenzo Bracciodieta, «possiamo notare che la sua faccia appare deformata: bocca aperta a mostrare i denti, narici dilatate, occhi stretti e luminosi. La testa e il corpo si muovono alternativamente avanti e indietro. Le spalle si sollevano e si abbassano. La tensione del torace può essere persino dolorosa. La respirazione è convulsa, fatta soprattutto di emissioni d’aria a scatto con sonore vocalizzazioni, seguite da lunghe inspirazioni e conseguente rilassamento». Cosa succede? «È il diaframma che, sussultando violentemente, guida questo tipo di respirazione. Le mani spesso corrono al ventre, quasi a sorreggerlo e comprimerlo. Le funzioni digestive sono prepotentemente attivate. I muscoli dell’addome tendono, nella fase seguente, a rilassarsi, così come la vescica». Se potessimo misurare il polso in questo momento all’individuo in questione, potremmo contare fino a circa centoventi battiti, mentre se facessimo un prelievo di sangue potremmo individuare delle beta endorfine. Inoltre il cervello è molto irrorato di sangue, anche grazie all’azione dei muscoli facciali che si contraggono e si rilassano. Lo "scoppio di riso" può quindi essere tranquillamente paragonato a un vero e proprio esercizio di aerobica, insomma: altro che palestra! Come funziona la risata? Attraverso i due principali sensi, vista e udito, il cervello rileva uno stimolo che colpisce quella zona del cervello deputata a riconoscere situazioni come questa e scatenare in risposta, il riso. Così dal talamo e dai nuclei lenticolari e caudali del cervello parte l’impulso del riso che arriva ai nervi facciali, i quali stimolano a loro volta i muscoli risorio e zigomatico. Più l’impulso è forte e più arriva lontano, fino al diaframma, ai muscoli dell’addome. Così, il riso scende dall’alto al basso, dalla mente cosciente all’istinto viscerale. Quando la risata finisce, assieme al necessario respiro profondo che viene effettuato, inizia un piacevolissimo e benefico stato di rilassamento, nel quale cambia anche la composizione del sangue, cioè dell’energia biochimica concentrata che pervade il corpo. Fa bene anche in campo Ma indipendentemente dalle rilevanze fisiologiche, anche l’idea stessa di prendere la vita con ironia e umorismo è di per sé un fatto positivo. E ciò che vale nella vita in generale vale a maggior ragione nello sport, che della vita è spesso una rappresentazione metaforica: affrontare l’avversario con il sorriso sulle labbra significa non averne paura ma rispetto. Essere pronti alla battuta in uno spogliatoio a metà del primo tempo significa allentare la tensione. Vedere con ironia un gol annullato sul campo di calcio o un fallo di piede alzato sulla pista d’atletica significa aver già recuperato tutte le energie psicofisiche per migliorarsi nella prova successiva. Reagire con rancore, cupezza, rassegnazione significa invece aprire la strada alla depressione. E proprio lo sport, che dagli psicoterapeuti è considerato come una cura antidepressiva, finisce per funzionare al contrario. Senza capacità di prendere la frustrazione sportiva anche per quello che è (una porzione metaforica della vita, appunto), è difficile trovare l’autostima necessaria a correggere i propri errori, a ripetere meglio l’esercizio, a elaborare il piccolo lutto di una sconfitta e a fare il salto qualitativo necessario alla crescita psicoatletica. Patch Adams, il medico americano che ha basato sul sorriso tutta la sua missione finalizzata ad alleviare le sofferenze umane spiega: «Ci sono migliaia di studi, di documenti, di ricerche che dimostrano l’enorme importanza dell’umorismo per la salute. I ricercatori hanno trovato una relazione importante: quando si è allegri nel nostro organismo avvengono delle reazioni chimiche: si produce un aumento di endorfine e di catecolamine e una diminuzione di secrezione del colozolo (il colesterolo cattivo). Ossia la risata è uno stimolante per il sistema immunitario e comporta molti effetti positivi sul cuore e sui polmoni». Prendiamo una delle situazioni cause universali della risata: una persona che cade. Bene: pensiamo alla caduta invece sopra una pista di pattinaggio. Lì può diventare un dramma, la differenza tra la medaglia e l’eliminazione. Eppure, solo attraverso la capacità di riderne, più tardi magari, con una simpatica battuta può giungere il riscatto sportivo.

    Dieta. Non sono le calorie a fare la differenza

    Cibi sani, attività fisica e conteggio calorico sono considerati in genere i capisaldi per ridurre il peso corporeo. In realtà non è sempre vero…Quando si parla di dieta si finisce inevitabilmente di parlare di calorie, proprio perché si pensa che per perdere peso sia necessario ridurle e, fortemente motivati da questa informazione, incominciamo a studiare decine e decine di tabelle nel tentativo di introdurre nel nostro piatto cibi che apportano il minor livello calorico. Una corretta alimentazione, e il mantenimento di un giusto peso, in realtà non si possono ottenere con dei calcoli matematici, aggiungendo o sottraendo calorie; anzi, con questo comportamento rischiamo seriamente di danneggiare la nostra salute. In ambito nutrizionale, per caloria alimentare (detta anche "grande caloria") indicata simbolicamente con la sigla Cal o Kcal, si intende la quantità di energia necessaria per aumentare di un grado la temperatura di un kg di acqua distillata. Questa unità di misura serve per valutare l’apporto energetico medio fornito da 1 g o da 100 g di un alimento. Se introduciamo nel nostro organismo un apporto calorico superiore al nostro fabbisogno, è inevitabile l’aumento del peso. Se, invece, introduciamo meno calorie mangiando meno, favoriamo la perdita di peso, perché l’organismo è costretto a mobilitare le sue scorte. In realtà, questa perdita di peso è solo temporanea, perché se questo regime calorico è protratto nel tempo, l’organismo valuterà questo mancato introito calorico come un periodo di carestia e innescherà una serie di meccanismi tali da ridurre il dispendio energetico; ciò determinerà anche il rallentamento del metabolismo basale. Il risultato di questo comportamento è l’arresto del dimagrimento nonostante lo scarso introito calorico. Inoltre, nel momento in cui ricominciamo a mangiare un po’ di più, l’organismo, reduce della precedente scarsa introduzione di cibo, diventa particolarmente avido, immagazzinando tutti i nutrienti assunti con i cibi, proprio per la paura che si ripresenti una nuova condizione di carestia. A questo punto, l’ago della bilancia penderà a nostro sfavore e si innescherà così un circolo vizioso che determinerà l’alternarsi di un periodo di dimagrimento a un periodo di aumento di peso; questa oscillazione è notoriamente conosciuta come sindrome dello yo-yo. A questo punto è importante partire da alcuni principi base: non tutte le calorie sono uguali; una dieta non si deve basare solo su una valutazione calorica, ma soprattutto su un corretto bilancio di macro e micronutrienti. Uno studio svedese si è occupato di valutare l’effetto di uno stesso introito calorico a due gruppi di volontari, ma derivante da gruppi alimentari differenti. A tutti i partecipanti era stato fornito un eccesso calorico di 20Kcal/Kg di peso corporeo, ma per un gruppo le calorie proveniva dal consumo di frutta secca, mentre, all’altro da caramelle. Al termine della ricerca si è osservato che coloro i quali avevano mangiato caramelle presentavano un’alterazione dei parametri cardiovascolari, la compromissione della funzionalità insulinica e il rallentamento del metabolismo basale. Nell’altro gruppo, invece, si è osservato un aumento del metabolismo basale e la perdita di peso. Questa indagine dimostra ancora una volta come le calorie provenienti da alimenti diversi non siano uguali. Le calorie fornite dalle caramelle, e quindi dallo zucchero, sono definite "vuote", perché non forniscono alcun nutriente al di fuori del glucosio e fruttosio.

    Lo shampoo: il primo gesto per la salute dei capelli

    Spenti, fragili, fini, crespi, "cadenti"… Con il nostro ritmo di vita, i capelli ne vedono proprio di tutti i colori. È, quindi, urgente prendere in mano la situazione prima che non siano veramente in cattive condizioni e non inizino a cadere a manciate. Marc Delacre, parrucchiere e creatore dell'omonimo istituto di bellezza, ci offre i suoi consigli per capelli pieni di vitalità.

    ll capello è una macchina assai complessa formata da uno stelo, parte libera che emerge sulla superficie del cuoio capelluto, e da una radice (bulbo), innestata in un follicolo pilifero. Il loro numero varia tra 100.000 e 150.000. Un capello vive in media cinque anni, poi muore e cade per lasciare spazio a un altro capello. Questo accade circa 25 volte. Per questa ragione, la vita del capello è molto fragile e, in caso di continue aggressioni, rischia poco alla volta di non essere più sostituito. Diventa quindi essenziale prendersi cura dei propri capelli, cominciando con il lavarli bene.

    Una buona salute passa attraverso una buona igiene

    Comincia bagnando i capelli, lasciandoli per un po' sotto il getto d'acqua. Poi, metti un po' di shampoo sul palmo della mano e applicalo sui capelli. Non bisogna strofinare troppo il cuoio capelluto, ma massaggiarlo delicatamente. Perché i principi attivi contenuti nello shampoo abbiano il tempo di fare il loro effetto, l'ideale è lasciare riposare alcuni istanti. Emulsiona poi con un po' d'acqua e riprendi a massaggiare. È inutile fare due shampoo - soprattutto se lavi i capelli molto di frequente. Questo sensibilizza inutilmente il cuoio capelluto.
    Una volta terminato lo shampoo, risciacqua abbondantemente i capelli. Il risciacquo è quasi più importante del lavaggio. Se rimangono residui di shampoo nei capelli, è garantita la formazione di forfora e l'insorgere di fastidiosi pruriti della cute. Come si fa a sapere se i capelli sono sciacquati bene? Devono scricchiolare sotto le dita. Quelle più coraggiose termineranno il risciacquo con un getto d'acqua fresca (ottima per il cuoio capelluto e per conferire brillantezza ai capelli).
    "Lascia asciugare i capelli nel modo più naturale possibile, evitando di usare l'asciugacapelli", spiega Marc Delacre. Se abiti in una grande città, meglio uscire di casa con i capelli ben asciutti. Infatti, le polveri si attaccano più facilmente sui capelli umidi.
    Per pettinarti, spazzole e pettini non sono sconsigliati, purché li utilizzi con delicatezza.

    Infine, è importante trattare i capelli in funzione della loro natura. Infatti, proprio come la pelle, esistono capelli secchi e capelli grassi. Spesso a questi problemi vengono ad aggiungersene altri, come ad esempio una fragilità eccessiva, la forfora o le cadute stagionali, che occorre tassativamente curare per ritrovare una bella chioma.

    La ginnastica dei capelli


    Ginnastica dei capelli… ma è una battuta? Per nulla: come qualsiasi altra parte del corpo, anche il cuoio capelluto ha bisogno di una ginnastica appropriata per essere al meglio della forma e per restituire alla tua chioma una condizione di salute basilare. Per prima cosa, una sensazione di benessere garantita: in Giappone, far lavorare il cuoio capelluto è considerato il miglior antistress! Hélène Clauderer, Direttrice dell'omonimo Centre Clauderer, descrive a noi di Doctissimo questi massaggi.
      Restituisci ai tuoi capelli una salute di fondo in soli tre movimenti. Ammorbidirai il cuoio capelluto, sbloccherai le microtensioni muscolari e agevolerai il flusso del sangue verso le radici. Da fare al rientro dalle ferie estive, in un momento in cui i capelli hanno particolarmente bisogno che ti occupi di loro. Senza dimenticare, poi, che se i tuoi capelli tendono a cadere in autunno, questi massaggi ne stimoleranno la ricrescita.

      Il metodo

      I tre movimenti si eseguono su tutta la testa nel senso della circolazione del sangue: dalla nuca verso la sommità del capo, poi dalle orecchie alla sommità della testa.
      Insistere sulla zona frontale e sopra la testa.
      Per avere più forza nelle mani puoi appoggiare i gomiti su un tavolo.

      1 - Massaggio di mobilizzazione

      Appoggiare i polpastrelli delle dita sul cuoio capelluto, mantenendoli leggermente distanziati, spingere con forza, quindi eseguire un movimento su e giù o in rotazione.
      Spostare le dita e ricomincia in un altro punto.
      Durata: circa un minuto per coprire tutta la testa.

      2 - Massaggio pizzicato

      In questo caso, si posizionano le mani a 2 cm di distanza l'una dall'altra, mentre le dita sono serrate. Avvicinare le dita delle mani per pizzicare il cuoio capelluto.
      Il massaggio dura circa 30 secondi.

      3 - Massaggio a ventosa

      Con le mani appoggiate una sull'altra, esercitare una forte pressione per avvicinare le falangi dei palmi delle mani, cercando di pizzicare la pelle del cuoio capelluto.
      Questo massaggio ha una durata di circa 30 secondi.
      Attenzione, massaggiare non significa frizionare: le dita non devono scivolare, ma rimanere ben salde nel punto della testa su cui sono appoggiate. Il principio consiste, infatti, nel far scivolare la pelle del cuoio capelluto lungo la testa e non le dita lungo la pelle.

      Ultimi consigli

      La frequenza delle sedute varia in funzione del tipo di capelli:
      Capelli normali: 3 volte alla settimana
      Capelli secchi: tutti i giorni
      Capelli grassi: 2 volte alla settimana (prima dello shampoo)
      Non eseguire i tre movimenti durante lo shampoo, dopo averlo applicato. Per quanto poco aggressivo possa essere il prodotto detergente, è inutile farlo penetrare a livello delle radici. In questo caso, non aggiungerebbe nulla né alla bellezza né alla salute dei capelli. Al contrario. Tranne che per questa restrizione, i movimenti possono essere eseguiti in qualunque momento della giornata, su capelli asciutti o umidi. Una seduta completa non dura più di 2 - 3 minuti.

    I capelli in estate: ciò che fa bene e ciò che nuoce alla loro salute


    Mantenere dei bei capelli in estate è un esercizio facile da realizzare se si rispettano alcune regole per la loro cura. Sapere come gestirli, quello che fa bene o che detestano, servirà a proteggerli dalle aggressioni. Scopriamo insieme i diversi consigli di Hélène Clauderer, specialista del capello.
    • Tutti i capelli amano il sole
    • Ma attenzione all'overdose
    • Cosa fare

    I capelli in estate
    © Jupiter
    Quando sono esposti al sole, al vento e al mare, i nostri capelli non sono tutti uguali.
    Tutto quello che devi sapere per non sbagliare.

    Tutti i capelli amano il sole

    In quantità ragionevole, il sole è eccellente per tutti i tipi di capelli. Conferisce loro riflessi unici, che ci danno, unitamente all'abbronzatura, un aspetto pieno di salute, che rimanda agli altri l'idea che le nostre vacanze sono perfettamente riuscite e che nessun parrucchiere non è in grado di riprodurre artificialmente. Il sole aiuta anche il calcio a fissarsi per il tramite della vitamina D e attiva la circolazione delle migliaia di piccoli vasi che irrorano il cuoio capelluto. In una parola, il sole fa crescere i capelli più in fretta e più forti: se vuoi farti crescere i capelli, quello delle vacanze estive è il momento giusto.

    Ma attenzione all'overdose

    Se oggi siamo più diffidenti dell'azione del sole sulla pelle, dimentichiamo ancora troppo spesso che anche il cuoio capelluto è costituito da pelle. Una dimenticanza che può costarci cara.
    - Seccando l'epidermide e modificando il pH naturale del cuoio capelluto, i raggi infrarossi scatenano spesso la formazione di forfora, proprio come la pelle che si spela.
    Il minore dei male, secondo il parere di Hélène Clauderer.
    - A parere dell'esperta, più grave e anche più subdolo, è l'effetto provocato dai raggi solari che, in seguito a un'esposizione troppo prolungata rallentano l'evacuazione degli acidi grassi contenuti nel sebo. Questi acidi stagnano sotto l'epidermide, trasformandosi presto in tossine, che comprimono e intralciano l'attività delle radici.
    Meno ben irrorati, i capelli rischiano di assottigliarsi e persino di cadere qualche settimana dopo.

    Cosa fare

    È semplicissimo: copriti la testa ogni volta che rimani a lungo al sole perché nessun prodotto per capelli è in grado di prevenire il problema. E, se i tuoi capelli tendono a cadere troppo in autunno, sappi che le cadute autunnali possono quintuplicarsi proprio in seguito alle imprudenze commesse in estate.

    Dare sollievo a un cuoio capelluto sensibile


    Pruriti, capelli rovinati, che si spezzano: i problemi di cuoio capelluto sensibile colpiscono oltre il 35% delle donne. L'inquinamento, il calore, lo stress sono alcune delle cause che indeboliscono il cuoio capelluto. Ma come alleviare il problema? Scopri i nostri consigli perché il benessere torni a essere sinonimo di bellezza.
    • Carenza e secchezza della pelle
    • Aggressioni esterne e quotidiane
    • Gesti semplici e prodotti mirati


    © Jupiter
    Anche se il concetto di cuoio capellutosensibile è poco conosciuto in Italia, ne soffre più di una persona su tre. Tuttavia, non esistono motivi per fare allarmismo: infatti, i problemi del cuoio capelluto sono anzitutto problemi di pelle, che è possibile curare.
    Le persone che hanno un'epidermide sensibile avranno, per definizione, più possibilità di avere un cuoio capelluto sensibile.

    Carenza e secchezza della pelle

    Diverse sono le cause che possono spiegare la sensibilità del cuoio capelluto, ma nessuna ha come origine una patologia grave. Nella maggior parte dei casi, si tratta di una mancanza di sebo (elemento indispensabile per proteggere la pelle), che indebolisce e irrita il cuoio capelluto.
    La secchezza del capello e della pelle sono altrettante cause importanti di indebolimento del cuoio capelluto. Privo di protezione e di idratazione del film idrolipidico, il capello perde la sua naturale morbidezza. Diventa difficile da pettinare, la qual cosa provoca la caduta di piccole particelle di epidermide, da cui l'insorgere della forfora.
    A uno stadio più avanzato, possono insorgere sensazioni di disagio attraverso la comparsa di macchie rosse e pruriti.

    Aggressioni esterne e quotidiane

    Nella vita di tutti i giorni, l'inquinamento e il calore infliggono un autentico calvario al nostro cuoio capelluto e lo indeboliscono. Ma questi rischi esterni non sono nulla se paragonati ai prodotti che utilizziamo ogni giorno. Shampoo, balsami dopo shampoo, piastre arricciacapelli e, soprattutto, colorazioni: la nostra epidermide fa molta fatica a lottare contro tutti questi prodotti e questi gesti, a volte troppo aggressivi e non mirati.

    Se sono troppo fragili e le cure non abbastanza dolci, i capelli possono arrivare anche a cadere, in quantità più o meno grande.

    Gesti semplici e prodotti mirati

    Tutto inizia dallo shampoo, a nulla serve massaggiare con forza il cuoio capelluto.
    Bisogna procedere con calma e, soprattutto, fare attenzione a non graffiarlo o ferirlo. È anche indispensabile sciacquare bene i capelli e, se possibile, lasciarli asciugare all'aria (il calore degli asciugacapelli è fonte di aggressione). E al momento di pettinarli, cerca di non tirare troppo i capelli per evitare di indebolire le radici.
    È altrettanto indispensabile scegliere prodotti di bellezza mirati. Per questa ragione, gli shampoo, i dopo shampoo e le maschere a base di pantenolo e di betaina sono essenziali perché hanno un effetto calmante sul cuoio capelluto. Anche i prodotti a base di vitamina B5 sono particolarmente consigliati perché creano sulla superficie del cuoio capelluto un film protettivo e idratante efficace contro le aggressioni. Dunque, nulla di meglio per alleviare e curare un cuoio capelluto rovinato!

    6 consigli per prendersi cura dei capelli al ritorno dalle ferie


    Con l'arrivo dell'autunno, i nostri capelli cadono come foglie morte. Se queste cadute stagionali durano solo alcune settimane, sono comunque sufficienti per colpire il morale. Come combattere le cadute? Controllando rigorosamente la propria igiene di vita. Per aiutarti, segui i 6 consigli di Hélène Clauderer, specialista del capello.
    • 1. Controlla il tuo regime alimentare
    • 2. Alt allo stress!
    • 3. Stop al fumo
    • 4. Un pò di sport
    • 5. La ginnastica per i capelli
    • 6. Saper scegliere e fare bene lo shampoo


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    Quando l'organismo è affaticato e trascurato, le prime cellule a soffrirne sono le cellule a rinnovamento rapido, quelle della pelle e dei capelli. Conseguenza? Se i tuoi capelli cadono troppo all'inizio della stagione, devi prestare particolare attenzione alla tua igiene di vita.

    1. Controlla il tuo regime alimentare

    Il regime alimentare corretto per i tuoi capelli deve apportare quotidianamente i cinque componenti alimentari di cui i capelli non possono fare a meno: Proteine; Zolfo; Zinco; Ferro; Vitamine del gruppo B.
    Nella hit parade del regime capelli, due sono i prodotti di spicco dell'alimentazione: il tuorlo d'uovo e le lenticchie. Entrambi contengono in notevole quantità questi cinque elementi indispensabili.
    Ma attenzione: questo regime impone anche di evitare l'assunzione di grassi saturi.
    Consuma salumi in minima quantità (tranne il prosciutto cotto), limita i cibi dei fastfood, i grassi cotti, i dolciumi e gli zuccheri bianchi, il pane bianco, gli eccessi di alcol, e così via….

    2. Alt allo stress!

    Lo stress è il nemico numero 1. Quando si manifesta, scatena, a livello del cuoio capelluto, una serie di reazioni, come la compressione dei vasi sanguigni, un minore irroramento delle radici, la stimolazione degli ormoni androgeni... Con il passare del tempo, queste reazioni conducono all'assottigliamento e alla caduta prematura dei capelli.

    Se non riesci a mantenere i nervi saldi di fronte alle tensioni quotidiane, fai una cura a base di magnesio: è un regolatore naturale dell'eccitabilità nervosa, un eccellente antistress.

    3. Stop al fumo

    Tra gli altri danni, il fumo riduce l'elasticità dei vasi sanguigni, particolarmente stretti e numerosi a livello del cuoio capelluto. Il fumo può, dunque, ridurre sensibilmente il flusso di sangue verso le radici dei capelli. Per i tuoi capelli, cinque o sei sigarette sono il massimo che poi concederti. Ecco una nuova buona ragione per smettere!

    La chirurgia endoscopica o mininvasiva e ambulatoriale


    L'intervento mininvasivo riduce il dolore dei pazienti. La chirurgia rapida accelera i tempi di dimissione. Conoscerli meglio.

    Che cosa si intende per "intervento chirurgico in laparoscopia"?


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    Un intervento mininvasivo sui visceri interni, che si opera a "cielo coperto", cioè senza grandi tagli.
    Impiega una sonda ottica che consente di vedere, per esempio, la cavità addominale attraverso un'incisione praticata presso l'ombelico e previa insufflazione in addome di anidride carbonica.
    Attraverso una o due altre piccole incisioni praticate vicino alla prima vengono introdotte sonde operative (trocar), che consentono il passaggio di strumenti chirurgici miniaturizzati (manovrati dall'esterno) e di una microtelecamera per il controllo delle varie fasi dell'intervento su uno schermo televisivo.

    Quali vantaggi offre al paziente questo metodo chirurgico?

    Riduzione di intensità e durata del dolore, minori disturbi nel decorso postoperatorio (negli interventi addominali, per esempio, non si ha interruzione della peristalsi né formazione di aderenze), degenza ospedaliera più breve, recupero psicofisico più rapido.

    Per la risoluzione di quali malattie è impiegata?

    Per svariate patologie; in particolare: a) ginecologiche (trattamento di gravidanze extrauterinee dell'endometriosi, asportazione di cisti ovariche benigne e di fibromi uterini, isterectomia); b) dell'apparato gastroenterico (colecistectomia, appendicectomia, trattamento del reflusso esofageo e dell'ulcera duodenale che non rispondono a terapia farmacologica, resezione del colon per patologia benigna); c) dell'apparato urogenitale (iperplasia prostatica benigna, asportazione di tumori vescicali superficiali); d) dell'apparato respiratorio (asportazione di tumori benigni della laringe, dei bronchi e del polmone); e) ortopediche (trattamento in artroscopia della patologia della spalla e del ginocchio); f) cardiovascolari (by-pass coronarico, sostituzione di valvola mitrale).

    Che cosa si intende per "chirurgia rapida o ambulatoriale"?

    Quella chirurgia che consente l'intervento e la dimissione del paziente nella stessa giornata (dayhospital) o, al massimo, entro 24 ore.

    Quali patologie risolve?

    Molte sono le patologie che possono essere trattate ambulatorialmente. Tra le più comuni: lacataratta e il glaucoma, in oculistica; i fibromi uterini e i noduli alle mammelle, in ginecologia; il varicocele, l'idrocele, la fimosi, in andrologia; le emorroidi e i polipi anali, in proctologia; le vene varicose e le varici, in angiologia; le patologie vascolari superficiali, in dermatologia; ernia inguinale in chirurgia generale; varie condizioni che richiedono interventi di chirurgia plastica.

    Trasfusioni di sangue: come salvare una vita


    Una trasfusione di sangue può salvare la vita. È infatti importante conoscere il proprio gruppo sanguigno ed eventuali complicazioni.

    In quali casi le trasfusioni si dimostrano particolarmente utili?


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    a) Dopo una violenta, improvvisa emorragiadovuta a una malattia o a un incidente;
    b) per riequilibrare un paziente anemico in previsione di rischi emorragici, ad esempio prima di un intervento chirurgico di una certa gravità;
    c) per aiutare il paziente a riprendersi, finché il suo midollo osseo non è di nuovo in grado di provvedere all'emopoiesi (elaborazione dei globuli rossi e bianchi e delle piastrine); per esempio, dopo una malattia prolungata o debilitante che abbia dato origine ad anemia.

    Che cosa si intende per trasfusione di sangue?

    Fare una trasfusione significa somministrare a un individuo malato una certa quantità di sangue prelevata a un altro individuo sano; si tratta quindi di un procedimento serio e complesso, che deve rispondere a determinati requisiti ed è talvolta associato a complicazioni, per cui deve essere effettuato sotto la diretta supervisione di un medico.

    A chi deve essere affidata la determinazione del gruppo sanguigno, in vista di una trasfusione?

    A un laboratorio qualificato in cui operino tecnici esperti; se la determinazione del gruppo sanguigno e la prova di compatibilità non sono eseguite correttamente, la trasfusione può infatti comportare conseguenze anche molto gravi, determinate dalla precipitazione dei globuli rossi del donatore.

    Quali complicazioni possono insorgere nel caso il sangue usato per la trasfusione non sia del tipo appropriato, cioè il sangue del donatore sia incompatibile con quello del ricevente?

    Brividi e febbre, ittero o addirittura la morte.

    Diabete, l’importanza di uno stile di vita corretto


    Attività fisica e alimentazione corretta rappresentano due alleati fondamentali contro il diabete di tipo 2, il più diffuso, non solo sono capisaldi della terapia, ma sono anche le armi della prevenzione.


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    Oltre il 90% dei casi di diabete sono di tipo 2 e un loro aumento è previsto nei prossimi anni in corrispondenza con l’invecchiamento della popolazione – la percentuale di incidenza supera il 18% nei pazienti che hanno superato il 70 anni – e la diffusione di obesità e vita sedentaria, nonostante le possibilità di prevenzione sono le cause principali di questa epidemia. «Sappiamo che questo tipo di diabete è legato a cause di tipo multifattoriale» spiega la dottoressa Valeria Manicardi, diabetologa e direttore del dipartimento di Medicina dell’Ospedale Franchini di Montecchio Emilia (AUSL di Reggio Emilia). «Esiste infatti una predisposizione genetica ereditaria cui si associano però fattori ambientali legati allo stile di vita. Eliminare questi fattori non solo rappresenta quindi la terapia principale di questa forma di diabete, ma anche la principale arma di prevenzione a nostra disposizione. Per esempio un grande studio - condotto ormai diversi anni fa - il Diabetes Prevention Program (DPP) ha dimostrato che l’intervento intensivo sullo stile di vita è più efficace nel ridurre la comparsa del diabete sia della metformina che dell’acarbose, due farmaci che pure limitano le probabilità di comparsa della malattia».

    I due fattori  su cui concentrarsi per uno stile di vita corretto sono alimentazione e attività fisica.
    «Le norme per una giusta nutrizione in un diabetico di tipo 2 o un soggetto considerato a rischio non sono diverse da quelle consigliate a chiunque, se non per la necessità di una maggiore attenzione all’apporto di zuccheri semplici» chiarisce l’esperta. L’altro consiglio fondamentale è quello di evitare una vita sedentaria. «Non è necessario scegliere uno sport in particolare, l’importante è fare attività fisica» sottolinea la dottoressa Manicardi. «Certo, in linea teorica sono preferibili attività di tipo aerobico, dove i muscoli, lavorando in presenza di ossigeno, sono in grado di bruciare completamente il glucosio senza lasciare scorie, ma quel che veramente conta è fare movimento. Anche camminare 30-40 minuti al giorno è un’ottima abitudine che permette di mantenere il peso corporeo ideale, migliorare la sensibilità all’insulina e tenere più bassi i livelli di grassi e glicemia nel sangue». Lo sportpuò essere poi un alleato anche per i diabetici di tipo 1, non solo per i benefici fisici che possono trarne, ma anche per motivazioni psicologiche, soprattutto per i più giovani: aiuta ad accrescere la fiducia in se stessi e facilita le relazioni sociali con i propri coetanei. L’importante, per evitare complicazioni ed eventuali situazioni imbarazzanti di fronte ai loro compagni, sarà tenere presente qualche piccolo accorgimento. «Il principale consiglio, per i pazienti diabetici di tipo 1 che fanno insulina ad ogni pasto, è quello di non fare attività fisica nelle due ore immediatamente successive, per non correre il rischio di crolli molto veloci della glicemia (ipoglicemia) con conseguenze anche rischiose» spiega la diabetologa. «La scelta ideale sarebbe quella di praticare lo sport scelto verso sera, prima del pasto, o se lo si deve fare dopo cena, occorre anticipare una cena leggera e controllare i livelli di glicemia prima di iniziare». Può essere utile anche tenere a portata di mano bevande zuccherate da assumere durante lo sforzo se la glicemia dovesse scendere troppo ed è necessario fare particolare attenzione a mantenere un giusto livello di idratazione. Restano poi valide le piccole regole consigliate a tutti coloro che si accingono a fare sport: il programma dell’attività fisica dovrà prevedere un graduale aumento dello sforzo e fissare obiettivi realistici, ogni allenamento deve iniziare con una fase di riscaldamento e una di defaticamento e prevedere un momento dedicato allo stretching. In ogni caso sarà fondamentale la collaborazione con il diabetologo per regolare l’alimentazione e la terapia insulinica in base all’intensità e alla durata dell’allenamento e imparare ad autocontrollarsi per gestire al meglio la attività fisica. Esistono campioni di diverse specialità che sono diabetici.

    Diabete, accettare e gestire la malattia


    Imparare a fare quotidianamente i conti con il diabete è una sfida non sempre facile da affrontare, soprattutto a livello psicologico, ma con l’aiuto degli specialisti e le nuove opzioni terapeutiche è oggi davvero possibile condurre una vita normale.


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    Il diabete è una malattia cronica, questo significa dover imparare a gestirla giorno dopo giorno, conviverci quotidianamente senza, almeno per ora, poterla curare una volta per tutte. Per questo è a volte difficile accettare la diagnosi, convincersi che seguendo con regolarità la terapia sarà possibile condurre una vita normale, con normale vita di relazione, affettiva e sportiva. Spesso la preoccupazione di non essere accettati, di essere considerati “diversi”, induce a tacere sulla propria condizione, silenzio che rischia di diventare una fonte di stress importante. «Per un buon trattamento della malattia non è sufficiente l’aiuto del diabetologo» spiega la dottoressa Valeria Manicardi, direttore del dipartimento di Medicina dell’Ospedale Franchini di Montecchio Emilia e consigliere nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi «ma è indispensabile il coinvolgimento di un team di persone: dall’infermiere che insegna al paziente ad autocontrollare la glicemia, ad usare correttamente l’insulina, al dietista che stila un piano nutrizionale corretto, fino allo psicologo che ha un ruolo importante sia in caso di diabete di tipo 1 che di tipo 2. Nel primo caso infatti i pazienti sono in genere bambini che hanno bisogno di aiuto per accettare la diagnosi così come i loro genitori, che tendono spesso a sentirsi in colpa come se fossero responsabili del problema di salute dei propri figli. Nel diabete di tipo 2» prosegue l’esperta «ci si trova spesso a gestire persone con disturbi del comportamento alimentare, bulimici soprattutto, così l’intervento dello psicologo si rivela fondamentale per affrontare un problema che rende impossibile seguire un regime nutrizionale corretto».

    Conoscere bene la malattia e imparare a gestirla significa anche comprendere di non dover rinunciare a determinate scelte professionali o sportive, purché si seguano alcuni accorgimenti. Ne sono stati la prova personaggi famosi come, per esempio, gli statisti Charles De Grulle e Mikhail Gorbaciov, l’attrice Halle Berry e il campione olimpico di nuoto Gary Hall. Un grande aiuto viene poi dalle continue scoperte scientifiche, fonti di importanti miglioramenti terapeutici. «Una nuova arma contro il diabete di tipo 2 è costituita da una innovativa famiglia di farmaci, le incretine, che, prese per bocca o per via iniettiva, vanno a stimolare la fisiologica produzione di insulina da parte del pancreas» spiega la dottoressa Manicardi. «Per i diabetici di tipo 1 ci sono dei sistemi di infusione continua sottocutanea di insulina (i microinfusori ), tecnologie note da tempo, ma oggi molto migliorate: attraverso un piccolo catetere sottocutaneo iniettano continuativamente una piccola dose di insulina, così come fa il pancreas in un soggetto sano, e permettono di impostare con un pulsante la dose necessaria al momento dei pasti, liberando i paziente dalle più vincolanti iniezioni, che per i loro tempi di azione e smaltimento richiedono una rigida regolarità dello stile di vita. Si tratta di un piccolo strumento delle dimensioni di un telefono cellulare, che oggi si può affiancare all’uso di un sensore sottocutaneo in grado di monitorare la glicemia minuto per minuto».
    Questi strumenti sono, per esempio, indispensabili per le giovani donne con diabete tipo 1 che vogliono affrontare una gravidanza con serenità. La speranza è quella di poter avere presto un unico strumento che riunisca queste due funzioni, regolando automaticamente l’infusione di insulina in base ai livelli di zucchero nel sangue. Nel frattempo, grazie ai due mezzi oggi a disposizione, sempre più piccoli e facilmente utilizzabili, un paziente informato e consapevole è comunque già in grado di autogestirsi e di condurre una vita normale in ogni campo.

    Diabete, le temibili complicanze


    Diagnosi precoce e trattamento tempestivo sono gli strumenti principali a disposizione per allontanare il rischio di complicanze, la vera spada di Damocle per coloro che soffrono di diabete.


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    L’obiettivo principale di chi cura il diabete e la grande preoccupazione delle persone affette dalla malattia è di evitare le complicanze ad essa legate, soprattutto quelle croniche, purtroppo frequenti.  Fortunatamente le conoscenze e i mezzi oggi a disposizione consentono - ad alcune condizioni - di tenere a distanza queste patologie. «Tutto il lavoro della rete italiana dei servizi di diabetologia,oltre 600, unica in Europa, è volto a raggiungere una diagnosi precoce del diabete, così da iniziare subito il trattamento più appropriato e mantenere vicini alla norma i livelli di glicemia, per sventare il rischio di complicanze» spiega la dottoressa Valeria Manicardi, direttore del dipartimento di Medicina dell’Ospedale Franchini di Montecchio Emilia e consigliere nazionale dell’Associazione medici diabetologi. «In particolare è stato dimostrato che per tenere lontane le complicanze croniche del diabete è fondamentale tenere al di sotto del 7% il livello di emoglobina glicata (HbA1c), considerata il test di memoria delle glicemia medie del paziente negli ultimi 2-3 mesi».
    Le complicanze del diabete possono essere di due tipi: macrovascolari e microvascolari.

    Complicanze microvascolari

    «Le complicanze microvascolari coinvolgono i piccoli vasi arteriosi, in particolare della retina, e dei reni, ma anche dei nervi» spiega l’esperta. «Le principali conseguenze sono quindi retinopatia e nefropatia diabetica, vere e proprie malattie che comportano il deterioramento delle funzioni di questi organi conducendo, nel caso della retina, a cali visivi e, in alcuni casi, anche alla cecità, mentre i danni renali possono essere tali da portare fino alla dialisi. Infine i danni che coinvolgono i nervi determinano la neuropatia, sensitiva e motoria, che può sia togliere sensibilità al dolore causare sia iperalgesia, con dolori lancinanti agli arti inferiori di difficile controllo».

    Complicanze macrovascolari

    Le complicanze macrovascolari coinvolgono invece i grandi vasi sanguigni e interessano quindi soprattutto l’apparato cardiovascolare. «I diabetici sono colpiti da infarto, ictus cerebrale, scompenso cardiaco  e arteriopatia agli arti inferiori quattro volte di più rispetto ai non diabetici, tanto che le malattie cardiovascolari ne rappresentano la causa di morte nell’80% dei casi» osserva la dottoressa Manicardi. «Tutti gli studi di intervento hanno però dimostrato che se trattati intensamente con tutti farmaci per il cuore, come ACE Inibitori, Betabloccanti, Aspirina, Statine, e soprattutto con l’angioplastica in fase acuta anche i diabetici possono avere una buona qualità di vita dopo l’infarto». Un’altra delle complicanze più gravi e invalidanti è quella definita piede diabetico. «È dovuta a una compromissione sia della circolazione arteriosa che a danni neurologici che privano i piedi della normale sensibilità» chiarisce la specialista. «Questo fa sì che il paziente diabetico possa subire traumi o lesioni al piede senza accorgersene e quindi trascurarli favorendo così la comparsa di un’infezione importante con possibile comparsa di gangrena e conseguente necessità di amputazione quando l’infezione arriva fino all’osso».

    Il peso economico della cura del diabete e delle sue complicanze

    Nel 2000 lo studio CODE-2, condotto in otto stati europei (oltre all’Italia, anche Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Spagna e Svezia) prendendo in esame i casi di tipo 2, che rappresentano oltre il 90% del totale, ha messo in luce come la cura del diabete richieda cospicue risorse, soprattutto quando è responsabile di complicanze. In particolare nel nostro Paese assorbirebbe il 6,65% della spesa sanitaria nazionale complessiva e di questa il 60% è dovuta ai ricoveri ospedalieri. L’aspetto veramente rilevante emerso è che i costi riguardano in massima parte il trattamento delle complicanze più che della patologia: per esempio solo il 7,5% dei costi ambulatoriali è legato a visite diabetologiche, mentre oltre il 50% è dovuto ad altre visite specialistiche connesse alla cura dei problemi di salute conseguenti. Lo stesso vale per i medicinali, dove la spesa per gli antidiabetici orali è inferiore al 10%, mentre ammonta a oltre il 30% quella per i farmaci cardiovascolari, la cui assunzione è tipicamente legata a uno specifico tipo di complicanze diabetiche.
    Diagnosi precoce (che si può ottenere solo con campagne informative rivolte alla popolazione e con la collaborazione del medico di medicina generale) e un inizio tempestivo del trattamento si confermano quindi interventi indispensabili  innanzitutto per la salute dei pazienti, ma anche per il contenimento delle spese sanitarie, sempre più difficili da sostenere. Per questo l’AMD, Associazione Medici Diabetologi, ha lanciato il progetto: “SUBITO! Dal 1999 al 2013: quattro anni per fare diagnosi subito!, trattare subito!, ottenere una HbA1c < a  7% subito! Per migliorare da Subito! la vita dei pazienti”

    Che cos'è il diabete?

    Obesità, alimentazione errata, vita sedentaria, il diabete è una malattia in continua espansione non solo nei paesi ricchi, dove le sue complicanze sono tra le principali cause di morte, ma anche nei paesi poveri, dove il miglioramento delle condizioni di vita porta con sé anche l’aumento dei casi di diabete. Eppure, i mezzi per curarlo e condurre una vita normale esistono.

    Diabete, una malattia in espansione troppo spesso ignorata


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    Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono circa 177 milioni le persone affette da diabete in tutto il mondo, numero che sembra destinato a raddoppiare entro il 2025, eppure il 50% dei malati non è consapevole della propria condizione, correndo così gravi rischi per la propria salute. Conoscere la malattia è allora il primo passo per combatterla.
    Secondo i dati Istat, nel 2009 ben il 4,8% degli italiani soffriva di diabete, percentuale che ha segnato un importante aumento rispetto al 2000, quando la malattia interessava il 3,7% della popolazione. Ma di cosa si tratta? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Valeria Manicardi, direttore del dipartimento di Medicina dell’Ospedale Franchini di Montecchio Emilia e consigliere nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD).

    Dottoressa, che cos’è il diabete?

    È una malattia dovuta al mancato controllo dei livelli di glicemia, cioè di zuccheri, nel sangue. Il diabete può essere di due tipi. Quello di tipo 1 è detto insulinoprivo, è cioè dovuto alla distruzione delle cellule β del pancreas che producono l’insulina. Si tratta di un tipo di diabete che colpisce in genere bambini o giovani e, sebbene le sue cause non siano del tutto conosciute, sappiamo che di norma è dovuto a cause autoimmuni, cioè una causa esogena, a volte virale, produce anticorpi contro elementi essenziali del proprio corpo e li distrugge. Il diabete di tipo 2, che rappresenta oltre il 90% dei casi, è invece caratterizzato da insulinoresistenza, ossia l’insulina viene prodotta in grandi quantità, ma non riesce a svolgere efficacemente il proprio ruolo sui tessuti insulino-dipendenti, come il quello muscolare, adiposo e sul fegato. All’origine di questa patologia esiste senz’altro una predisposizione genetica ereditaria cui si associano però fattori ambientali legati allo stile di vita. Se in famiglia c’è un nonno, uno zio o un genitore che ne è affetto, questo è un segnale che deve mettere sull’avviso, perché potrebbe indicare una predisposizione alla comparsa della malattia.

    Il diabete di tipo 2 colpisce quindi generalmente in età adulta?

    Sì, anche se l’età di comparsa di questa forma di diabete si sta abbassando sempre di più a causa dell’esplosione dell’obesità infantile e adolescenziale, che ne determina una comparsa più precoce.
    Questo abbassamento dell’età di comparsa del diabete dai canonici 35 anni, che sembravano essere il confine tra diabete tipo 1 e tipo 2, pone nuovi problemi di sanità pubblica e di intervento, perché tutti gli studi sui farmaci per il diabete sono stati condotti in persone adulte e non nell’adolescenza. Quindi con quali farmaci curare gli adolescenti?

    Quali sono i sintomi del diabete?

    Nel diabete di tipo 1 in genere l’improvvisa scomparsa dell’insulina determina sintomi evidenti come sete intensa, poliuria, cioè necessità di urinare molto, stanchezza e calo di peso, comparsa di alito aceto nemico, e per questo viene facilmente rilevato, anche se a volte l’esordio è drammatico e porta il bambino in ospedale in coma. Nel diabete di tipo 2 invece i sintomi sono più labili, spesso nei primi tempi i valori glicemici elevati sono del tutto asintomatici, quindi possono passare anni prima che il malato si accorga di avere il diabete. Ecco perché sarebbe molto importante che i medici di Medicina Generale effettuassero lo screening della glicemia in ambulatorio a qualsiasi ora del giorno ai soggetti ritenuti a rischio, ossia coloro che hanno casi di diabete in famiglia, ma anche ai pazienti obesi o in sovrappeso, affetti da  ipertensione o da alterazione dei lipidi plasmatici (colesterolo e /o Trigliceridi), nelle donne che hanno avuto neonati di peso superiore a 4 kg o che hanno già avuto un diabete in gravidanza (Diabete Gestazionale)

    In cosa consiste lo screening?

    È un semplice stick da fare al dito con strumenti a disposizione nelle farmacie e negli ambulatori dei medici di famiglia. È importante che venga fatto in qualsiasi momento della giornata e non a digiuno, perché le prime alterazioni della glicemia si hanno proprio dopo i pasti, e solo successivamente a digiuno. Questo permette di scoprire in anticipo i casi di diabete non noto, e quindi di iniziare a trattarlo prima che ci siano già complicanze.

    Esiste una cura?

    Le persone affette dal diabete di tipo 1 dovranno essere trattate per tutta la vita con insulina sottocute – non è possibile realizzare delle pastiglie di insulina, perché viene distrutta dagli enzimi dello stomaco –, oltre che con uno stile di vita idoneo, cioè alimentazione equilibrata ed attività fisica, che permettono a questi pazienti di condurre una vita pressoché normale. Nel caso del diabete di tipo 2 la cura deve coniugare l’assunzione di appositi farmaci e un cambiamento dello stile di vita. Esistono infatti una serie di famiglie di medicinali da assumere per via orale in grado di controllare, agendo con meccanismi diversi, i livelli di glicemia nel sangue, ma è indispensabile, per il successo del trattamento una modifica radicale dello stile di vita. È questa la terapia principale e anche la più difficile da far applicare con costanza: aumentare l’attività fisica e modificare le abitudini alimentari riducendo i grassi e l’apporto di carboidrati semplici, e seguendo una dieta più equilibrata e sobria.

    Il significato di infettivo e contagioso

    Per malattie infettive, in medicina, si intende un gruppo di patologie causate da agenti infettivi, cioè batteri (germi) e virus.Molte di esse sono anche contagiose, cioè possono passare molto facilmente da un individuo all'altro. Nella terminologia corrente vengono considerate infettive solo le malattie molto contagiose. Il contagio per tutte avviene attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse o con il respiro. Le più comuni malattie infettive dell'infanzia sono il gruppo delle malattie esantematiche (morbillo, rosolia, scarlattina, quarta, quinta e sesta malattia, varicella), la pertosse e la parotite. Quasi tutte sono di origine virale e, come tali, non esiste una terapia antibiotica specifica. Soltanto la scarlattina, la quarta malattia e la pertosse sono causate da batteri e per questo motivo possono e/o devono essere curate mediante antibiotici

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